Campanilismo… chi parla?

Fortuna vuole che anche la prossima bolletta del mio cellulare verrà addebitata su carta di credito, che tradotto in frase di senso compiuto vuol dire avere un mese in più (fino al giorno 15) per mettere insieme tutti i quattrini che serviranno per pagarla.

Sarà la bolletta del: “Scusa, ho chiamato così, per parlare un pò” del “Che fai stasera” moltiplicato per tutti i numeri memorizzati compresi: Mamma&PapàCasa, MauroCommercialista e AmministratoreCondominio, ma anche di varie centinaia di SMS.

Partiamo da un presupposto: un SMS, con soli 160 caratteri, non basta affatto se hai da dire più che da comunicare, quindi ti ingegni con i segnali (altrimenti l’altro ti risponde prima che tu abbia finito).

C’è il modello Televideo: 2/4 (ma presuppone che tu sappia in anticipo quanti messaggi scriverai per dire tutto) il modello -SEGUE, della serie non ti muovere e aspetta ancora, e poi c’è il modello > che significa segue, ma ti ruba un solo carattere, che su 160 è una percentuale accettabile.

Alla risposta comprendi di non essere stato chiaro a sufficienza, urge delucidazione che non sempre delucida a fondo senza lasciare alone, alla fine dello scambio conti i messaggi: mai sotto i 14, ovvero € 1,80 iva esclusa, pari a 15 minuti di conversazione, più che sufficienti per spiegarselo 100 volte quello che sta nei messaggi, vi pare?

No, non è così: al telefono il tempo è sovralimentato, gira più veloce di Schumacher quando gira veloce, e si finisce per perdersi in parentesi tonde, quadre, graffe e graffianti che non c’entrano nulla con il discorso originario.

Una di queste riguarda le città: è un pò di tempo che quando i discorsi si fanno un pò più personali, dall’altra parte ci si premura di farmi sapere che Milano non è tra le città preferite in cui vivere.

Dichiarazioni spontanee, che non fanno seguito a nessuna richiesta specifica.

Ognuno ha la libertà per stare dove più gli piace e se le scelte che la vita impone glielo consentono può esprimere preferenze per Firenze Roma o Venezia, cosa che per me non fa nessuna differenza.

La questione sarebbe chiusa se alla negazione di trasferimento non fossero fatte seguire le motivazioni: “Milano è brutta. Milano fa schifo. Milano è inquinata. La gente di Milano è fredda. E’ fredda anche Milano”.

Vivo qui da 22 anni dopo un’intera giovinezza vissuta al sud, così tanta giovinezza da credere che l’essere nato qui sia solo una formalità burocratica, e i luoghi comuni mi rubano un pò di pazienza, penso a Totò e Peppino con il colbacco, alla nebbia affettata con il coltello e Arbore che dice: “Bella Milano, si se putesse vedè”, allo stereotipo dell’imbroglione o del mafioso.

Saggiamente dovremmo costruirci un’idea delle persone prese singolarmente, piuttosto che classificarle per colore della pelle, appartenenza religiosa e politica, provenienza geografica, ma è faticoso: per gruppi etnici, di credo o ideologia si fa prima.

Alla fine di questi dibattiti telefonici ripercorro le parole in cui mi si è detto che sono simpatico, che parlarmi è un piacere irrinunciabile, ma che Milano non piace e la gente che ci vive, ancora meno.

Io ci vivo.



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