Doppiaggio sì, doppiaggio no

Doppiaggio

Si riaccende periodicamente la discussione sull’opportunità o meno di doppiare in italiano i film stranieri, l’ultima fiammata ieri dopo l’articolo di Repubblica “Senza doppiaggio il cinema piace di più” che come spesso accade al quotidiano titola con una bugia rettificandone il contenuto in seguito.

Che a Roma “Django unchainded” in versione originale riempia il cinema Barberini è un fatto, ma che sia più visto della versione doppiata è un falso ben specificato in seguito dall’autore quando scrive che il film è programmato in altre 47 sale della capitale e solo allora definisce il fenomeno per quel che è: “Un segnale”.

Il cinema Barberini esaurisce i 580 posti della sala in cui proietta il nuovo lavoro di Quentin Tarantino in lingua originale, ma il film è il campione d’incassi per la seconda settimana di seguito a oltre 7 milioni di euro e per questo risultato, ha necessariamente riempito tutte le altre sale in cui viene proiettato in versione italiana.

Il Post ha fornito un utile spazio di discussione e confronto intitolato “Sul doppiaggio dei film” da cui emerge però l’elemento che trovo più fastidioso di tutta la faccenda: e cioè una certa tendenza all’intolleranza dei favorevoli alle versioni originali che sembrerebbero propensi all’abolizione totale del doppiaggio a discapito di chi preferisce queste versioni a quelle originali, sottotitolate o non.

Mentre quelli che se il film non fosse doppiato neppure metterebbero piede al cinema per contro sembrano ben felici che gli appassionati del film originale abbiano sempre più opportunità di trovare in Italia maggiori opportunità di trovare film nel formato che preferiscono.

E’ questo, più della simpatia che provo per il doppiaggio (di cui da tempo mi dichiaro esercente simpatizzante) a irritarmi: che buona parte degli adepti del cinema in lingua originale non si accontenti di queste crescenti opportunità ma sarebbe pronta a cancellare la libertà di scelta altrui ritenendo che il proprio modello debba bastare a tutti, proponendo una sorta di dittatura culturale di cui essi stessi ritengono di poter essere a capo.

 



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *