Fine e mezzi

Francesca ha circa 25 anni (minuto più, minuto meno), gli occhiali, un musetto simpatico e un carattere (cito testualmente) impossibile; è italiana ma l’ho conosciuta in Inghilterra; ad essere precisi lei era lassù, io quaggiù (perchè, sempre per dirla con il De Crescenzo Luciano: “Si è sempre meridionali di qualcuno”) e l’incontro merita citazione perchè, pur se anomalo per quelli della mia età, sarà sempre più comune a quelli della sua.

Internet.

Non la solita chatline, IRC, gruppi o forum di discussione dove si va a parlare con gli altri: un “blog”, in cui oltre a qualche pensiero, esperienza e segnalazione, prendeva a prestito poche righe da un servizio che avevo realizzato citandone la fonte con tanto di collegamento ipertestuale.

Consulto le statistiche, alcuni lettori arrivano a me tramite la sua pagina, incuriosito vado a vedere di cosa si tratta ed eccomi al cospetto dell’universo da mostrare ai suoi amici per non mandare in copia a tutti la stessa mail, riservando ad altro luogo gli argomenti meno generici.

Finire in una pagina così è come quando sollevando la cornetta del telefono per qualche strano contatto sentivi un paio di estranei che ti parlavano dentro casa: con l’imbarazzo dello spettatore involontario manifestavi la tua presenza segnalando il problema e pregandoli se possibile di riagganciare tutti e richiamare, sperando la linea si liberasse per poter chiamare anche tu.

La sua pagina era pubblica ma io non ero stato invitato, mi sono sentito come uno che va ad una festa senza conoscere il padrone di casa o amici in condivisione, a differenza delle interferenze telefoniche non potevo manifestare la mia presenza mancando un qualunque indizio per il contatto.

Consumato lupo della navigazione, inizio la ricerca infilando i pochi elementi noti nei principali motori e ragni senza risultato, costretto a contentarmi di leggere il talento espositivo di questa scrittrice in erba, fantasticando la giovane giornalista che fa pratica sui conoscenti.

Iintelligenza, capacità e senso di umorismo, ho letto pensando, ridendo e sorridendo su passaggi che suonavano più o meno così: “Fine delle vacanze, torno in Inghilterra, il mio viaggio prevede una tappa in Olanda. Saluto i miei, mio padre prova a darmi dei soldi ‘Ti serviranno se vai ad Amsterdam’ ed io “Grazie papà ma non fumo’ e conseguente risata”.

Arriva il segnale, seguo tracce che passano per la rubrica di un quotidiano, c’è un indirizzo, scrivo scusandomi per l’intrusione, spiego l’itinerario, ringrazio del collegamento al mio sito, mi complimento per i mini-racconti.

Radi messaggi spalmati su varie settimane, rivelazioni, sottili malintesi da sedare in fretta, mesi di silenzio su ogni fronte poi si riaccendono le luci su pensieri pubblici e privati, infittiscono gli argomenti, cadono piccole barriere e ci si racconta non più la sola gioia di vivere, ma le sue difficoltà e dolori che si nascondono ai più.

Scompare l’antagonismo degli inizi e diventa desiderio di illustrarsi, di ascoltare, di conoscere e farsi conoscere, ma alla maniera degli amici di nuova nomina, senza abbandonare lo studio reciproco.

Rifletto su questa casualità della vita che da qualche anno insiste a ripetersi, sconosciuti che un giorno smettono di esserlo: “E’ sempre stato così, non è cambiato nulla!” e vedo meglio il rischio di confondere il fine con i mezzi.

Racconto di queste amicizie ai più grandi, definite “virtuali” dai più illuminati, altri difendono le telefonate chilometriche della propria gioventù, e più risalgo l’albero genealogico più trovo gente che scriveva lettere, si appostava all’uscita da scuola, affollava le chiese la domenica mattina, in cerca di quei territori comuni a chi avevano desiderio di conoscere.

“Vuoi mettere la differenza tra parlarsi al telefono, con lo scriversi una mail?”.

Già: mio padre commentava le telefonate interminabili (la TUT dovevano ancora inventarla) sostenendo che se ci sono cose importanti da dire è meglio scrivere una lettera.

Ero molto piccolo e mio nonno dissentiva sull’operato del figlio, che aveva dichiarato l’amore a mia madre in una lettera, mentre (con un pò di nostalgia) ai suoi tempi certe cose si dicevano guardandosi negli occhi.

Prima di lui non lo so, si assoldava qualcuno per fargli cantare una serenata sotto il balcone o si pregava un amico comune di combinare, forse perchè alla base dell’incontro tra uomini e donne c’era soprattutto la caccia a futuri mariti o mogli, mentre oggi si tende più all’ampliamento delle conoscenze mentre la ricerca del matrimoniabile non è considerata prioritaria.

Immutevolmente continuiamo a manifestare il bisogno di comunicare con i nostri “simili ma non troppo” (il sesso opposto resta privilegiato), epoche e strumenti in dotazione saranno pure cambiati e ora ci comunica sempre più a distanza, ma resta che dietro lo schermo di un computer, dietro il display di un cellulare, in autobus sul sedile accanto, o dietro l’indirizzo di una lettera consegnata con la posta del mattino, c’è sempre un’altro come noi.

Che sorride, si indigna o si rattrista per le cose che legge secondo l’importanza che abbiamo conquistato, e il mezzo conta solo in quanto tale, anzi.. più lo crediamo impersonale, più le sensazioni si amplificano.

Impostori, brava gente, vittime e carnefici: non c’è un filtro magico, ognuno non è che se stesso, proprio come nella vita… che adesso è anche questo.



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