Uso sempre l’ultima pagina che ho scritto, cancello ed inizio a scriverne una nuova, e così vedo che sono passati già quasi 10 giorni dall’ultima volta, e nel frattempo sono accadute molte cose, ma nessuna degna dell’onore della cronaca, o forse tutte.
Cena a Reggio Emilia, “I chiostri” di fronte alla Questura, conosciuti anche come gli “Stallieri”, ma lo conoscono tutti non puoi sbagliare, ed io invece mi organizzo per il vediamoci appena fuori dal casello, che tanto già arriverò in ritardo.
Si, è su questo evento che si è impantanato il povero autore di queste pagine, perchè tra “Un calamaretto e un triglia” (inutile che enunci la provenienza della citazione) promise che avrebbe scritto in proposito; non che non ci abbia provato, anzi mi sono impegnato scavando nei primi messaggi scambiati, alla ricerca dello spunto da cui cominciare.
Perchè il punto è sempre lo spunto: quando si inizia un discorso si sà sempre dove si vuole andare a parare, il problema è da dove partire e quale strada percorrere per raggiungere la destinazione desiderata.
Molte cose buone, ma queste meritano davvero:
“Scusami ma preferisco non continuare a scrivere, se non per dirti che la mia testa è piena di te, il mio cuore quasi. Devo solo stare attenta alla mia anima perchè quando arriverai anche lì non ci sarà più nulla da fare…”
“Vorrei un tuo bacio e dopo dartene uno mio, e dopo ancora mille nostri.”
“Quando nel mio pensiero entra l’idea di te, sembra tutto meraviglioso; poi sempre più meraviglioso e poi vorrei scappare, e nel mio scappare venire verso di te.”
Perchè?
Al di là del solletico all’ego, sono dense, appassionanti, ma soprattutto di una semplicità di fronte alla quale sono sempre stato completamente disarmato.
Naturalmente, è in casi come questi che la fuga rappresenta la miglior difesa, ed io sono fuggito, di fronte ad un fiume inarginabile.
Quanto tempo è passato da quelle parole? Tre anni? Si, quasi! La distanza quasi altrettanti.. poi la convinzione della storia impossibile non è più di uno soltanto, ma comune ad entrambi facilita i riavvicinamenti, quelli in cui come superstiti d’una guerra si torna sul campo di battaglia a vedere cosa si è salvato.
Parliamo della nostre ansie odierne, e vedo meglio le nostre differenze: se nessuno di noi si tira indietro di fronte agli impegni assunti, abbiamo tempi diversi per assumerne: per Giorgia l’impegno personale è quasi immediato, io invece lo penso, lo medito, cerco di capire se posso, devo, se mi piace farlo, le mie decisioni sono spesso faticose.
Sul rallentamento pesano i fallimenti a cui non ho ancora trovato rimedio psicologico, ma fino ad allora somigliavo moltissimo a Giorgia, e come Giorgia ho preso sonore batoste e cantonate, ostinandomi a credere ciecamente in cose o persone fino a trasformarle in illusione.
Sto lì a sbirciare i suoi occhietti azzurri che guizzano dappertutto e non posso non domandarmelo se io non sia un pò deficiente: si spendono chissà quante energie nel tentativo di riuscire a farsi amare da qualcuno, dimenticando che non è così che le cose vanno.
Gli incontri sono sempre casuali, le passioni automatiche, i sentimenti che ci legano sono diversi dall’abitudine a starsi accanto che a volte ci fa insopportabili, e direttamente proporzionali: più siamo legati, più ci sopportiamo male, scomodi ma indispensabili.
E mentre osservo vedo tutti i presupposti che la nostra storia aveva per funzionare, la capacità di ridere, giocare, starsi accanto e sostenersi, cercarsi, nulla si è perduto in questo tempo eccetto la voglia di crederci, chi prima, chi dopo.
Che dire? Ero giovane e inesperto!